In diverse presentazioni del mio libro “Albania Italia andata e ritorno”, il discorso dell’esodo albanese è sfociato inesorabile in una serie di riflessioni sull’emigrazione italiana. Non tanto la divergenza di opinioni tra chi vede nella migrazione un’esperienza comune rispetto a chi, invece, ritiene gli italiani gli unici lavoratori volenterosi: quello che mi ha lasciato sempre senza parole è che per tutti i migranti italiani sono quelli degli anni ’50 –’60. Chi lascia il Paese adesso non è considerato. I giovani non sono visti né quando ci sono né quando vanno via. E in una nazione come l’Italia, in crisi economica e demografica, questa è una disattenzione fatale. A dir la verità, articoli e dati statistici sulla migrazione italiana vengono pubblicati con una certa cadenza, eppure la questione non viene affrontata con la dovuta urgenza e serietà. Anzi.
Il libro “Exit Only”, dell’onorevole Giulia Pastorella, che ho avuto modo di presentare a Lecce (nella locandina gli organizzatori e gli ospiti), è il primo tentativo di discussione aperta, chiara e senza edulcorazioni del fenomeno dei “Cervelli in fuga”, nel quale l’autrice mette nero su bianco dati (tanti), cause scatenanti la fuga e proposte per provare ad offrire ai giovani italiani le condizioni che cercano fuori.
Dribblando tra stereotipi e luoghi comuni, tra infruttuosi tentativi di arginare il problema e atavici problemi italiani, Pastorella parte dalla necessità di trovare le giuste definizioni per poi presentare le statistiche sulla mobilità, anche europea.
“Come se il contribuente italiano pagasse una Ferrari per poi regalarla ai tedeschi” – l’autrice sceglie le parole della premier Meloni in apertura del suo libro, per poi affermare che è un problema di tutti non saper rendere attrattivo il proprio paese. Né per chi ci è nato, né per chi potrebbe arrivare.
“Se i giovani scappano la colpa non è loro, ma degli adulti che non hanno saputo costruire per loro un posto dove vivere felicemente” – è con la citazione di Davide Rondoni che si apre il capitolo “Le cause del Brain Drain italiano” che in sintesi possono essere ricondotte in tre categorie: sociali, economiche e accademico. Combinate in vario modo e a più livelli.
Il libro contiene la prefazione del giornalista Federico Rampini, che si augura che il nostro Paese possa: “aprire i propri orizzonti, reagire contro il provincialismo e l’autoreferenzialità delle sue classi dirigenti, osservare e copiare i modelli esteri che hanno dato risultati migliori”.
“Un giorno il mio paese mi dovrà chiedere scusa” – si chiude così il triste racconto di un ragazzo scappato all’estro. L’auspicio è che quel giorno non tardi ad arrivare.
Lascia una risposta