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Nel Social corner di Ušivak, dove i volontari rompono la monotonia dei giorni dell’attesa

“Vuoi un the?” È la domanda principale che i volontari, dal bancone dove è sistemato un enorme bollitore, chiedono a tutti gli avventori appena entrati. E sembra che i caschi bianchi (volontari del servizio civile all’estero) stiano lì solo per preparare la bevanda calda. Dietro quel gesto automatico, però, c’è tanto altro: voglia di condivisione, di dare una piega giusta ad una giornata iniziata male o di renderla meno pesante del solito. Voglia di annullare le differenze e di far sentire tutti a proprio agio.

Il the è solo un pretesto per dare un po’ di conforto a chi si trova temporaneamente nel campo per famiglie e minori non accompagnati. A Usivak, alle porte di Sarajevo, dove un tempo c’era una caserma ora ci sono i container per i migranti e nella piccola casetta posta in alto su quello che era l’anfiteatro, adesso c’è il Social corner acquistato con una donazione di Papa Francesco e gestito da Caritas Italiana.

Ogni mattina i volontari, arrivati puntuali all’apertura del campo, amministrato con i fondi dell’Unione europea dall’Organizzazione internazionale delle migrazioni (Oim), accedono al Social corner da una scalinata colorata, rassettano la stanza e attendono l’arrivo degli ospiti. Che non si fanno aspettare.  

E qui, in questo luogo di mezzo, lontano dalle loro case di origine, lontano dal posto dei loro sogni, i migranti passano le giornate a bere il the, a giocare a suonare o anche solo a stare in silenzio a guardare i video sul cellulare. Con la speranza che le autorizzazioni a proseguire il viaggio arrivino e presto.

“In questo periodo gli ospiti del campo sono pochi – afferma Lorena Trupiano, casco bianco della Campania – rispetto all’estate scorsa. Spesso avviamo diverse attività per tenerli impegnati e far pesare di meno le giornate”. 

Sembra poco, ma per chi si trova lì è un toccasana trovare dei volontari accoglienti che per un attimo fanno dimenticare la lentezza di giorni tutti uguali. Arrivano ragazzi più grandi, ma anche i più piccoli, quando non a scuola, che timidamente rispondono alle sollecitazioni degli operatori. Tra loro si è creato un legame speciale.

Francesco Biondo, casco bianco siciliano, prende la chitarra e prova ad insegnare qualche accordo ad un giovane afghano che parla del suo futuro. Per molti il futuro è quello forse un po’ idealizzato di una vita in un altro paese. “Mi piacerebbe andare in Germania per poter raggiungere i miei amici – afferma il ragazzo – trovare un lavoro, e stare bene”.

L’evasione dalla realtà finisce ogni giorno alle 16, quando il campo chiude le porte e tutti i volontari devono uscire. I migranti si ritrovano soli. Nel buio della notte alcuni provano a scappare, magari arrivano in città per cercare di racimolare soldi; altri provano a rimettersi in marcia e raggiungere l’Europa. Non tutti riescono, la polizia di frontiera è molto severa e rispedisce indietro, spesso respinti con la forza, chi viola le regole. E così, si ritrovano di nuovo al social corner, in attesa di un nuovo giorno, sperando sia migliore.

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