Non è un semplice fatto estetico, non c’è dubbio che i viali alberati sono decisamente più belli; è soprattutto un atto d’amore per la propria città e per l’ambiente. Sono tante le ragioni per cui vale la pena curare il verde pubblico e piantare alberi lungo le strade cittadine: per filtrare l’aria piena di smog, per creare ombra e quindi ridurre le temperature, per drenare le acque meteoriche, per migliorare la qualità della vita in generale, giusto per citarne alcune. Alla crescente sensibilità dei cittadini e alla necessità di avere più alberi, per rimediare anche ai devastanti incendi che lambiscono spesso i centri abitati, non c’è un’adeguata risposta da parte delle istituzioni. Nonostante la manutenzione del verde sia diventata obbligatoria così come lo è l’adozione delle linee guida redatte dal Ministero dell’Ambiente nel 2017.
“Un discorso serio sul verde pubblico nei nostri comuni deve ancora partire, attualmente ci troviamo di fronte ad uno stato di fatto particolarmente degradato, a volte inesistente e spesso casuale – afferma Milena Mastria, agronoma specializzata sulla progettazione del verde (ha frequentato due master e un corso di alta formazione di green urbanism, un corso specifico per il verde pubblico) -. Nei centri urbani più grandi il verde è sempre rientrato contestualmente a lavori più di nicchia, nei nostri piccoli comuni invece, dove c’è uno stato di fatto stagnante, nessuno ci pensa, si gestisce quello che c’è e quando un albero muore non si fa nulla; le potature sono affidate ai dipendenti comunali o ad altri soggetti che comunque non hanno una reale formazione. Nessuno cura seriamente il verde pubblico”.
L’approccio deve essere metodico e scientifico: in ogni comune va fatto il censimento delle aree verdi e di tutte le specie di alberi presenti, per poi procedere con l’appalto dei lavori alle ditte specializzate, capaci di intervenire adeguatamente su ogni tipo di pianta.
Facendo un giro per le strade dei paesi è frequente trovare spazi abbandonati, pieni di sterpaglie, o nei viali il vuoto dove prima c’era un albero; i tronchi vengono lasciati lì o si rifà il marciapiede, come se niente fosse. L’ombra dei pochi alberi è ambita da tutti nei parcheggi, e solo questo basterebbe a invogliare le amministrazioni a sforzarsi per ripensare le aree. “Di solito gli amministratori quando credono che un albero possa dare problemi agli abitanti per via delle radici, o quando c’è qualcuno che si lamenta per qualcosa, invece di fare un’analisi strumentale e quindi verificare se l’albero è stabile o meno, lo tagliano e risolvono il problema – spiega l’esperta -. Questo dispiace anche perché ora ci sono dei fondi per la riqualificazione urbana, è vero che la gestione dei fondi è molto complessa, però dai comuni non c’è nessuna richiesta per intervenire. Gli agronomi non vengono interpellati anche solo per sapere se possiamo essere d’aiuto o in generale per chiedere come riqualificare uno spazio con un bando specifico o per avere un’idea su come potrebbero intervenire. Abbiamo gli strumenti ma nessuno si muove, segno che, specialmente da noi, manca completamente la cultura del verde pubblico. Capita poi che il professionista viene chiamato solo a mettere le pezze, per fare solo relazioni agronomiche”.
Eppure gli alberi hanno il loro momento di gloria, durante la festa in loro onore ogni 21 novembre e di solito si pianta un albero per ogni nuovo nato. Annunciata con grandi proclami dagli amministratori, è però un evento slegato da una seria riflessione sulla necessità di piantare, sul dove farlo e quali varietà scegliere. Non c’è alcuna programmazione, come sottolinea la stessa esperta, né sul verde esistente né sulle nuove aree da adibire a verde; non rientra tra le varie questioni da affrontare. “Lavoro molto con persone del nord, proprietarie di abitazioni qui, mi chiamano per progettare i loro giardini, segno che hanno una cultura e un’attenzione più spiccata. Invece con i locali solo una volta mi è capitato di essere interpellata da un’amministrazione di un comune leccese per effettuare il censimento del verde – spiega l’agronoma -. Azione isolata ma che spero possa diventare più frequente: il censimento serve per avere un quadro preciso dello stato fitopatologico delle piante; monitorare gli alberi che non stanno bene e decidere su quali intervenire. Nei nostri comuni, purtroppo, non c’è nessun tipo di iniziativa reale e concreta che sia pensata solo per il verde: o si gestisce alla meno peggio quello che c’è oppure ci sono interventi casuali che vengono affrontati solo quando c’è da riqualificare un’area, e in automatico aggiungono degli alberi a caso, senza una visione d’insieme, senza sapere a chi affidare i lavori e spesso con gare sempre al ribasso”.
E questo significa esporsi a lavori fatti male, con potature, ad esempio, non idonee che portano a far soffrire o addirittura far morire la pianta.
“Spesso gli alberi si ammalano perché piantati in delle buche cementate o troppo piccole per lo sviluppo delle radici. Non si creano a monte le condizioni di piantumazione, in qualsiasi comune gli alberi sono piantati in dei quadrotti lasciati nel cemento di 40×50 senza drenaggio, senza irrigazione. Si parte già col piede sbagliato – continua Milena Mastria, gli errori più frequenti nella gestione del verde -. Poi pesa anche la scelta casuale nel tipo di albero da piantare. La maggior parte delle aree a verde nei nostri comuni risalgono agli anni ’60 e ’70, in pieno boom edilizio, all’epoca non c’era la giusta formazione e la maggior parte degli alberi utilizzati sono conifere, abeti, larici, poche piante mediterranee e questi sono errori madornali. È proprio decontestualizzato. Se mi chiedessero cosa inserire nelle aree indicherei piante del posto, da noi sicuramente carrubi o piante resistenti alla Xylella. Noi ci troviamo a gestire una situazione ciò che è stato fatto anni fa, senza nessun criterio, piantate a casaccio, senza le distanze giuste”.
E spesso si seguono le mode. Poco tempo fa è stata lanciata una campagna a favore della Paulonia, ritenuto albero aiuta l’ambiente. “Ho delle perplessità sull’uso di questa pianta, anche se la stanno sperimentando nel nord Italia, tuttavia non è originaria dei nostri territori; rimango del parere che la pianta da utilizzare è giusta quando è contestualizzata e non si può scegliere una pianta solo perché c’è qualcuno che lo dice o per moda momentanea – continua l’agronoma -. Ci sono tante altre specie da testare che si adattano al nostro clima, varrebbe la pena comunque informarsi al meglio e fidarsi degli esperti”.
Ma qui il punto dolente: “Spesso noi agronomi siamo gli ultimi ad essere interpellati, magari chiedono agli architetti, ai geometri, perché coinvolti direttamente nei lavori edili e lasciano loro carta bianca anche nella gestione del verde. Pur non avendo competenze. Poi vanno da un vivaista e comprano piante per il budget che hanno, senza far caso a cosa prendere. Arredare il verde pubblico è molto più difficile di gestire un giardino, ci vogliono le competenze”. E bisogna dare merito a chi le ha.
“A conclusione voglio dire che l’obiettivo primario per tutto il territorio salentino da ora e per i prossimi 50 anni è quello di riforestare il paesaggio, di ripopolarlo, perché stiamo andando incontro ad una situazione di degrado estetico ed ambientale – afferma Mastria -. Vanno sicuramente inserite le colture da reddito per rimpiazzare gli ulivi colpiti dalla Xylella, e poi inserire specie paesaggisticamente integrate, che ridanno vita al territorio e restituiscono il polmone verde”.
E se le istituzioni fanno fatica a capirlo, ci sono per fortuna nuove associazioni che hanno preso a cuore l’impegno per la riforestazione.
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