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Per migliorare le politiche migratorie le Ong propongono di programmare e progettare assieme alle istituzioni

Le finestre delle case al confine tra Polonia e Bielorussia si illuminano di verde, colore scelto per esprimere solidarietà e vicinanza alla popolazione migrante, che versa in condizioni disperate. Un’iniziativa che ha varcato i confini e si è diffusa anche in Italia, ma che non ha per nulla commosso la politica. L’Europa è fondata sui diritti ma incapace di agire a tutela dell’umanità, e con politiche migratorie che sono solo politiche di sicurezza, basta pensare poi alla sempre più frequente esternalizzazione delle frontiere, che porta le complessità del fenomeno lontano dagli occhi e quindi l-ontano dal cuore. Con costi molto alti per i singoli stati. Azioni che non risolvono i problemi e che, anzi, ne accrescono nei territori coinvolti.  

Si è parlato di questo nell’incontro “Cooperazione internazionale e flussi migratori”, moderato da Fiorella Prodi, presidente Nexus Emilia Romagna, all’interno del Festival Sabir, a Lecce, durante il quale si è detto di come le Ong e tutti gli attori preposti alla solidarietà vengano lasciate fuori dai tavoli decisionali, e si cercato di discutere su come migliorare il lavoro delle associazioni, e sulla necessità di decostruire la narrazione dominante sulle migrazioni, fortemente connotata politicamente.

Hanno partecipato, raccontando le proprie esperienze sul fronte, Mauro Montalbetti di Ipsia Acli, che ha denunciato come si usi “il diritto penale per affrontare le questioni sociali, del tutto inadeguato e che da spazio a violazioni dei diritti umani, dove i pestaggi sono solo alcuni degli esempi da addurre. E non servono a nulla le denunce, non c’è nessun apparato sanzionatorio in Europa”. Sono intervenuti poi Silvia Maraone in collegamento dal campo di Lipa, in Bosnia: “La risposta politica che stiamo dando si vede in ciò che facciamo, con la costruzione dei luoghi d’accoglienza lontani dai centri abitati, creando una frattura sociale nei territori. I Balcani sono la zona grigia d’Europa” e Danilo Feliciangeli di Caritas Italiana: “Spesso ci vediamo impegnati sul lavoro umanitario ma ci dimentichiamo degli abitanti locali. È importante, quindi, pensare al peso che può portare sulle popolazioni ospitanti”; Sabrina Breveglieri, di Nexus Emilia Romagna, che in Africa è impegnata accanto alle organizzazioni sindacali sul tema della mobilità umana, per definire le leggi per un lavoro dignitoso: “In Africa è forte anche la migrazione interna, ma i diritti dei lavoratori non sono tutelati. La migrazione deve essere intesa come opportunità”. Ultima ad intervenire è stata Silvia Stilli, di Arci/ Aoi, che ha auspicato di intraprendere il “percorso di un dialogo e confronto tra società civile e istituzioni per costruire politiche che siano coerenti. Si deve cambiare visione per affrontare le migrazioni”. E aggiunge che i costi per l’asilo e l’accoglienza non vengano inserito nel calcolo delle percentuali d’impegno dell’aiuto allo sviluppo e che è necessario “Cooprogrammare e cooprogettare”, oltre a comunicare bene tutto il lavoro realizzato dalle associazioni umanitarie.

Serve quindi lavorare con la popolazione locale e dialogare con le istituzioni, ma risulta difficile se anche nelle più importanti meeting politici, come lo è stato il G20, il tema migrazioni rimane fuori. L’augurio è che le lanterne verdi tengono accesa la speranza e che possano illuminare il percorso verso il rispetto dei diritti.

Ilaria Lia

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