Un faro puntato sulla scrivania, con un abat jour e qualche libro: la scenografia scarna si riempie con le parole di Antonio Gramsci, l’intellettuale temuto dal fascismo, il filosofo e lo studioso italiano più letto al mondo.
Si chiama “Un Gramsci mai visto – Vita e morte di un rivoluzionario”, lo spettacolo teatrale scritto e interpretato da Angelo d’Orsi, ispirato al suo libro “Gramsci” che è stato rappresentato a Galatone. Cinque monologhi scanditi da momenti di musica e canti popolari di lotta e di lavoro, tratti dalla tradizione orale contadina e operaia degli inizi del ‘900, interpretati da Anna Cinzia Villani (voce) e da Morris Pellizzari (chitarra). L’appuntamento è rientrato nella stagione di teatro e musica “Teatri dell’agire” del teatro comunale di Galatone, curata dal direttore artistico Salvatore Della Villa in sinergia con il Comune di Galatone e si è avvalso del patrocinio e del sostegno della Presidenza del Consiglio comunale della Città di Galatone.
Angelo D’Orsi, già ordinario di Storia del pensiero politico all’Università di Torino, si occupa di storia delle idee e degli intellettuali, di nazionalismo e fascismo, di guerra e di temi di teoria politica e di metodo storico, da un paio d’anni è impegnato con questo spettacolo.
Una volta sceso dal palco, dopo lo spettacolo ha modo di ascoltare il pubblico, capire da chi è composto, conoscere quali sono le reazioni?
“Questo lo si capisce bene già mentre si è sul palco, anche se il pubblico è al buio e tu sei illuminato, però lo vedi dai comportamenti, se le persone hanno i cellulari accesi, se sono attente. Devo dire che i miei spettatori sono sempre inchiodati alle poltrone e poi gli applausi sono un termometro abbastanza significativo, poi certo, alla fine dello spettacolo molti vengono a fare i complimenti. La cosa più bella che mi dicono è che magari di Gramsci non sapevano nulla, però lo spettacolo li ha invogliati ad andare a leggerlo, e questo il mio obiettivo. Di far conoscere almeno un po’, introdurre a Gramsci quelli che ne sono rimasti privi, che è un peccato per loro! Lo spettacolo è fatto prevalentemente per questo pubblico, anche se poi va bene per tutti, anche per i gramsciologi accaniti e appassionati”.
Lo spettacolo segue il libro. Quale è stata la difficoltà di scegliere come raccontare Gramsci a teatro e allo stesso tempo cosa le piace in questa nuova versione?
“L’idea non è stata neanche mia, ma di un gruppo di miei seguaci, dei veri e propri stalker, che trovavo dappertutto, per lo più in Toscana. Un giorno li ho avvicinati e ho iniziato a parlarci e una volta uno di loro mi ha chiesto se mi andasse di fare uno spettacolo su Gramsci. Ho risposto immediatamente sì. Sono uno che si butta a corpo morto nelle cose, trascurando completamente tutti gli elementi di razionalità, faccio sempre vincere la passione e quindi ho subito detto sì. Come quella volta in Brasile, dove mi trovavo per una docenza all’Università, un dottorando mi propose di fare addirittura un film su Gramsci, poi purtroppo la cosa non si è concretizzata. Ai ragazzi che mi hanno proposto lo spettacolo ho detto subito sì e non volevo perdere di nuovo l’occasione: avevano letto il libro ed era piaciuto, mi hanno dato uno schema e poi ci siamo dati appuntamento. Sono ritornato a Firenze il giorno stesso della prima. Mi avevano dato uno schema, ma l’ho personalizzato e, con grande sorpresa, si aspettavano che raccontassi Gramsci, invece ho deciso di diventare io stesso Gramsci. Questa è la novità. Lo spettacolo è in prima persona, e quando sono sul palco è come se ci fosse una metamorfosi. Studio Gramsci da molti anni e lo considero un po’ il mio spirito guida, a sua insaputa naturalmente! La cosa che stupisce sempre tutti è che non c’è un testo, c’è solo una testa! E infatti ogni rappresentazione è diversa da quella precedente, la adatto un po’ a seconda del tipo di pubblico e dei contesti in cui mi trovo. Cambio registro, anche in base all’estro del momento, e infatti lo spettacolo è a fisarmonica, dura da un’ora e mezza a due ore e più. Mi stupisco io stesso del fatto che io non ho neanche una traccia, vado a memoria. Significa che sono riuscito ad entrare nella vita e nella psiche del personaggio, dell’uomo, del pensatore, del politico, del rivoluzionario e cerco di mettere insieme tutti questi aspetti. E questo mi piace molto anche quando sono sul palco”.
Quanto ancora insegna Gramsci e cosa più di tutto si dovrebbe seguire della sua vasta opera?
“Dovremmo seguire innanzitutto l’esempio, un uomo di una coerenza, di una pulizia morale e di un rigore intellettuale che è impossibile non volergli bene, il suo è un insegnamento soprattutto di carattere morale e intellettuale in generale. Dopodiché ritengo che Gramsci oggi sia inattuale e allo stesso tempo necessario. Inattuale perché è talmente diverso il suo modo di fare, di concepire il giornalismo, che sarebbe difficile riproporlo. L’unico mestiere che ha fatto è stato il giornalista e il suo modo di concepire la politica e di farla sono talmente diversi da come oggi si fa, che non possiamo dire attuale. Però è necessario perché a noi servirebbe un Gramsci. Servirebbe il suo rigore morale e intellettuale, la sua serietà, in un mondo in cui la serietà è diventata un disvalore. Lo dico sempre nello spettacolo: lui non firmava quasi mai i suoi articoli e ne scriveva fino a quattro al giorno, i suoi colleghi chiedevano il perché e lui rispondeva che è importante far circolare le idee e non i nomi. Pensi come è lontana dal modo di concepire il lavoro giornalistico una frase del genere, chi rinuncerebbe alla firma oggi? Per lui il giornale socialista era un organismo collettivo”.
Neanche Gramsci, fosse vivo, verrebbe risparmiato da fakenews, disinformazione e macchina del fango. Lei come guarda al futuro, come venirne fuori da questo pantano?
“Uno degli elementi che rendono necessario oggi Gramsci è il fatto che lui ha avuto una stella polare nella vita e nel suo lavoro: la ricerca della verità. Quando inizia a fare il giornalista professionista, nel 1915, l’Italia è appena entrata in guerra e non si risparmia nel dire che la guerra è un gigantesco meccanismo di propaganda, che si basa sulla costruzione di menzogne, di false verità. Il suo lavoro di giornalista è togliere il velo e far vedere le cose come stanno. La guerra si nutre di menzogne e il compito di un socialista è di far vedere ai proletari, tutti quanti nel mondo, che sono le vere vittime della guerra, indipendentemente dal colore della divisa. Cercava con il suo lavoro di far capire che sono vittime e di far vedere che dietro la propaganda di patria e civiltà contro la barbarie c’era uno scontro di interessi, che riguardano rispettive classi dominanti della borghesia. Oggi che siamo sommersi dalla menzogna e quest’anno in particolare, il meccanismo della propaganda è stato davvero spaventoso. Avverto proprio la necessità di un Gramsci”.
Il libro lo ha dedicato a Michele Valentini, giovane suicida schiacciato da un mondo fatto di precariato. Ai giovani cosa si sente di dire?
“Il primo messaggio è sicuramente quello di ripudiare l’indifferenza, che è uno dei concetti gramsciani. Di cercare sempre le buone cause per le quali vale la pena di combattere. Quando dicono che non vale la pena più combattere non è vero. Le buone cause ci sono sempre e si deve avere l’intelligenza e la capacità di individuarle e lottare per loro. E quindi sentirsi parte di una collettività. Questo è un messaggio che va da Gramsci a Sartre, che definiva l’intellettuale come uno cha abbraccia veramente la sua epoca. È una frase che trovo bellissima. Il messaggio che cerco di dare è questo. Sartre diceva che l’intellettuale è uno che non si fa gli affari suoi ma quelli della polis, della collettività. Per fare questo in modo sensato occorre studiare. L’altro messaggio gramsciano che dò è studiare. Gramsci diceva di concepire tutte le libertà fuorché una, quella di essere asini. E di nuovo il discorso vale peri i proletari, per i subalterni per i poveri gli umili gli schiacciati, perché i padroni, dice Gramsci, non hanno bisogni di studiare hanno già il potere e la ricchezza, mentre gli umili solo attraverso lo studio hanno la possibilità di capire il mondo e rovesciarlo”.
Cosa direbbe Gramsci di questa Europa?
“Dell’Europa attuale sarebbe critico, nei suoi scritti all’Europa ci pensava e ci invitava a partire sempre dal locale, traguardarlo nel nazionale e il nazionale nel sovranazionale, perché ogni individuo è fatto di almeno tre comunità. È un processo di superamento che però contiene l’elemento precedente. E questo diventa un arricchimento. Gramsci aveva in mente un Europa federata democratica, sarebbe pieno d’orrore davanti all’Europa dei banchieri”.
Maria Teresa Mambelli
Buongiorno scrivo da Tale sono ina volontaria presso le suore salesiane sto leggendo il Suo bellissimo libro “Albania-Italia”
Mi sento albanese perché vivevo la Sicilia di 50 anni fa’ che mi ricorda questa splendida terra del nord …vorrei evitare d’annoiare
Sto cercando d’imoarare la lingua e conosco un po’ d’inglese
Pensionata italiana plurilaureata ( infermiera ed ostetica) sarei interessata a tornare con progetti concernenti il mio campo
Cortesemente può darmi indicazioni?
Cordialità