Il 19 novembre del 2001, venti anni fa, muore in un attentato a Kabul, la giornalista del Corriere della Sera, Maria Grazia Cutuli. Una donna coraggiosa che aveva iniziato a raccontare dell’Afghanistan, trasferita lì all’indomani dell’attacco alle Torri gemelle.
Sono passati in fretta venti anni, e soprattutto con il ritiro delle truppe americane e la presa del potere da parte dei talebani lo scorso agosto 2021, l’Afghanistan è ripiombato nel passato più buio.
Le donne sono coloro che soffrono di più di questa situazione, bersaglio prediletto dei talebani più intransigenti, che remano contro ogni emancipazione. Sicuramente Maria Grazia sarebbe stata al fianco delle donne che da subito non hanno esitato a scendere in piazza, dimostrando immenso coraggio e determinazione, per poter reclamare e mantenere i diritti acquisiti negli anni.
Da donna, sarebbe stata solidale con le manifestanti e avrebbe continuato a proporre aggiornamenti sulla situazione afghana, oggi nettamente ridimensionata, per via di altre tragedie della migrazione.
Le donne afghane non vogliono essere dimenticate e lo hanno ripetuto più volte anche durante l’incontro “Crisi afghana. I diritti, la dignità e il coraggio delle donne”, all’interno del Festival Sabir, a Lecce lo scorso 28 ottobre 2021.
Moderato da Chiara Volpato, del Coordinamento Donne Acli, l’incontro ha visto la partecipazione di tre donne afghane, riuscite a scappare dalla loro nazione e che nei loro interventi hanno invitato ad aiutare le connazionali rimaste lì.
“Le donne manifestano e rischiano la vita; hanno paura, certo, ma l’affrontano perché è l’unico modo per darsi coraggio, per infondere speranza. Specialmente le donne istruite lo affrontano come dovere morale verso le altre, perché sanno che possono essere da esempio – hanno affermato -.Ora le donne sono consapevoli del loro ruolo e delle loro potenzialità, non vogliono perdere quello che hanno raggiunto. Alle donne italiane chiediamo di non essere dimenticate, di non lasciarci sole. E di sostenere i gruppi politici moderati”.
Con i talebani al potere, le donne dagli occhi chiusi e dalle ciglia lunghissime, disegnate dall’artista afghana Shamsia Hassani, tra le strade di Kabul, hanno una bellezza ancora più forte e drammatica. “Portiamo la pace nel mondo con l’arte” era tra i suoi motti che la spingevano a questa rivoluzione di colore, ma ora predomina il grigio.
“Il talento e la passione di Shamsia riempivano di speranza, invocavano un Afghanistan migliore e più libero – afferma Fatema Qasim, scrittrice e attivista, volontaria per Binario 15 -. Con l’arrivo dei Talebani molte di loro sono dovute fuggire o si sono chiuse in casa, eclissate da ogni ambito sociale e condannate ad un’ignoranza forzata. Per quanto può essere forte la resistenza, la loro sconfitta sarà legata alla povertà culturale, e lo si vede già: molte donne sono state rese disoccupate, quelle che avevano denunciato i mariti violenti reintrodotte in casa. E poi ci sono le spose bambine, loro non accederanno mai all’istruzione e non potranno educare le figlie all’emancipazione”.
Le donne hanno un ruolo importante nella società e questo è riconosciuto da tutti i volontari impegnati nei progetti sociali: “Laila ha messo fine alla parola impossibile – è il commento che Luca Lo Presti, di Pangea rivolge a una delle donne presenti, arrivata in Italia tra le 235 persone collaboratrici dell’associazione -. Non conosciamo la situazione nelle zone rurali, che sarà ancora più dura; a Kabul ci stiamo organizzando per accogliere le persone con una taglia sulla testa. Pur nelle difficoltà ci sforzeremo per poter proseguire nel garantire l’istruzione e continuare quello che stavamo facendo”.
Racconta la sua esperienza Susanna Fioretti, di Nove Onlus: “Le donne afghane sono la chiave per il futuro. Si prevede una situazione umanitaria durissima, tra povertà e freddo. Eppure tra i talebani c’è chi ci ha fatto delle richieste, per corsi di alfabetizzazione delle donne – spiega-. Ecco, senza chiuderci totalmente dobbiamo cercare di strappare qualche garanzia e diritto, e portare a termine i progetti iniziati. Dobbiamo continuare a lavorare, anche se a basso profilo, ma senza disperdere quello che abbiamo fatto. Mettendo delle pendine dove possibile”. A chiudere l’incontro interviene Susanna Camusso (Responsabile Politiche di Genere e Politiche Europee e Internazionali – CGIL) che indica una strada da seguire: non far spegnere i riflettori; lavorare con le donne in Italia aiutando quelle rimaste in patria; lavorare accanto alle associazioni che sono sul posto. “Non si esporta la democrazia e l’emancipazione – dice -. Chi è lì deve indicarci come sostenere i progetti, per ricostruire una rete. È necessario mostrare un altro voto dell’occidente, che non scappa ma che si mette a disposizione”.
E un atto di coraggio dalle donne occidentali, per chi è ancora lì e per chi non c’è più, è doveroso.
Ilaria Lia
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