Attualità

Trent’anni fa, l’inizio di una guerra le cui ferite non sono mai state rimarginate

Željko Ražnatović, conosciuto come comandante Arkan, e i suoi uomini avevano un cucchiaio dai bordi affilati per cavare meglio gli occhi; centinaia di civili sono stati sgozzati e buttati nel fiume dal ponte sulla Drina; bambine e donne stuprate molte delle quali, se non uccise, segregate fino alla fine della gravidanza. Sarajevo ha subito il più lungo assedio della storia moderna, dal 5 aprile 1992 al 29 febbraio 1996; il generale Ratko Mladić ordinava ai suoi uomini di sparare alla città senza una logica; Radovan Karadžić, presidente della repubblica serba di Bosnia da psichiatra ha saputo bene come instillare terrore e provocare violenze. Nonostante le brutalità, in città il mondo della cultura sarajevese non si è mai fermato, in segno di resistenza e per tenere alta la dignità delle persone. Per colpire il nemico si è voluto colpire la storia: ecco i bombardamenti a tutti i luoghi simbolo e in particolare alla biblioteca nazionale di Sarajevo, che hanno distrutto secoli di storia e al ponte di Mostar, costruito dagli Ottomani nel XVI secolo. Il giornalista americano Roy Gutman ha vinto il Pulitzer per aver scoperto per primo i lager e le torture. Mentre l’Italia piange i tre giornalisti della redazione del Tg3 di Trieste, Marco Lucchetta, Alessandro Orta e Dario D’Angelo, uccisi il 28 gennaio 1994 da una granata a Mostar.

A Srebrenica, ultimo atto di una sanguinosa e insensata guerra, sono state uccise 8.372… persone, i puntini di sospensione vengono aggiunti perché il numero, purtroppo, non è ancora definitivo. Era una cittadina sotto protezione dell’Onu. I cadaveri sono stati seppelliti in fosse comuni, poi per nascondere le tracce sono stati spostati in altre seconde e terze fosse distanti km l’una dall’altra. Rendendo più difficile il ritrovo dei resti e l’identificazione delle vittime.

L’elenco delle violenze non si ferma qui, ricostruire quello che è successo è un lavoro certosino che viene portato avanti da anni. Ci si può fare un’idea visitando i musei nati per ricordare. Nel Museo dei crimini contro l’umanità e il genocidio 1992-1995 le tv nelle stanze riportano i video delle incursioni dei serbi e delle esecuzioni a bruciapelo che infliggevano; si trovano resti di effetti personali; dei plastici danno l’idea di come erano strutturati i lager. Una stanza è completamente ricoperta da post it che i visitatori lasciano dopo aver visto il museo, tutti con messaggi per la pace. Nella Galerija 11/07/95, la prima galleria memoriale del massacro di Srebrenica con un percorso guidato che racconta la storia di ogni foto e con degli interventi video sull’assedio di Sarajevo. Merita una visita il Museo Storico della Bosnia ed Erzegovina, dove c’è una sezione dedicata al lavoro dei giornalisti in guerra; e ancora il War Childhood Museum, con i ricordi d’infanzia dei bambini durante la guerra o il museo della guerra nel Tunnel di Sarajevo, unico collegamento con l’esterno nel periodo dell’assedio.

L’Europa sapeva, la Comunità internazionale sapeva, ma sono intervenuti tardi. Il tribunale dell’Aja ha condannato per crimini di guerra i rappresentanti serbi. Alcuni sono in prigione, molti sono liberi e addirittura ricoprono cariche pubbliche, hanno una vita normale, come se niente fosse stato. Molti continuano a negare il genocidio o si presentano come vittime. Gli Accordi di Dayton hanno fermato la guerra ma non spento l’odio, condannando un Paese all’immobilità.

A Sarajevo, nell’intera Bosnia Erzegovina, tutto parla della guerra. È come se il tempo si fosse fermato. E i giovani in un paese che non riesce a guardare avanti non vogliono rimanere.

Trent’anni fa nel cuore del Balcani iniziava un eccidio che mai avremmo voluto rivedere ma “se è successo può accadere ancora”.     

Miss Sarajevo, il concorso organizzato durante l’assedio

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