Il mio viaggio nella Bosnia Erzegovina non poteva terminare senza la visita in uno dei luoghi tra i più conosciuti dai credenti quanto misteriosi e chiacchierati da chi non ha fede: Medjugorie.
La storia è nota. In pieno regime comunista, quando ancora la Jugoslavia era unita, sei ragazzi (Mirjana e Ivan Dragićević, entrambi 16enni; Jakov Čolo, 10 anni; Marija Pavlović, 16 anni; Ivanka e Vicka Ivanković, di 15 e 17 anni (tutti parenti tra loro), mentre erano sulla collina Podbrdo affermano di aver visto apparire la Madonna, la Gospa, come la chiamano lì. La prima apparizione è stata il 24 giugno 1981. Da quel momento le apparizioni diventeranno quotidiane, richiamando sempre più gente, tra scettici e ferventi credenti, tra scienziati in cerca di prove razionali e uomini di chiesa a confermare il miracolo o smascherare la truffa.
Anche all’interno della Chiesa, infatti, la vicenda ha causato una spaccatura, anche a livello locale tra la chiesa di Medjugorie e la diocesi. La Commissione vaticana ancora studia il caso, non si è espressa apertamente nel riconoscere l’apparizione. Ciò che ha colpito è stato il messaggio profetico che ha lanciato la Madonna nella sua prima apparizione. Aveva detto “pregate per la pace” in un momento in cui nessuno avrebbe mai pensato che da lì a poco sarebbe scoppiato un duro conflitto nei Balcani.
Prima della partenza, in Italia, avevo iniziato a leggere tra i tanti libri sulla Gospa, uno di un noto giornalista italiano che ormai lì è di casa. Giusto per avere la mente libera da qualsiasi pregiudizio e cercare di capire il punto di vista di chi crede e grazie alla fede ha cambiato la vita. Ammetto che non sono riuscita ad andare oltre le prime pagine. Al momento, il libro che mi è piaciuto di più, anche l’unico che ho letto sull’argomento, è quello del prof. Marco Corvaglia (La verità su Medjugorje. Il grande inganno, ed. Lindau), che ne analizza minuziosamente l’intera vicenda.
Dei sei ragazzi solo alcuni di loro sono tutt’ora veggenti, nessuno di loro ha intrapreso una via spirituale, anzi, ostentano ricchezza, e vedono a cadenza regolare (alcuni ogni giorno allo stesso orario, altri una volta a settimana) la Madonna che continua lanciare messaggi, spesso poco spirituali.
Dal momento delle apparizioni, anche il piccolo paesino è cambiato drasticamente: ora l’intera economia del luogo ruota intorno all’immagine della Madonna. Sulla strada, prima di arrivare al santuario, uno dopo l’altro si susseguono negozi tutti uguali stracolmi di oggetti con l’immagine della Gospa. C’è di tutto. Dalle coroncine del rosario di ogni lunghezza e colore, alle boccettine con la terra della collina delle apparizioni, e poi ancora statue, dalle più piccole alle più grandi, magliette con i loghi di brand famosi rivisitati in chiave sacra, cuscini, medagliette. E i prezzi sono in euro. Nessuno in Bosnia Erzegovina accetta gli euro tranne qui, in questo grande bazar tra sacro e profano.
E poi hotel, pensioni, ristoranti e tutto ciò che serve per accogliere i turisti religiosi, che arrivano ogni anno in milioni, da tutto il mondo. Per non perdere i fedeli e per inserire tutto in un contesto ecclesiastico, senza fratture, negli ultimi anni (con Ratzinger) si sta cercando di avviare un processo di riconciliazione, tra la comunità francescana e la diocesana, guidato dalla nunziatura.
Al di là della veridicità o meno di quanto hanno sempre affermato i veggenti, chi viene a Medjugorie sente un forte senso di spiritualità e lo si vede dal modo con cui i visitatori arrivano nel santuario, di come seguono raccolti le funzioni e soprattutto da come affrontano il percorso verso il monte delle apparizioni.
Prima di accedere in chiesa, i fedeli fanno tappa davanti la statua nell’atrio a destra, chi non trova posto all’interno, può contare di panchine e grandi schermi ai lati e sul retro, dove si trova un altro punto di interesse: la grande statua del Cristo Risorto, realizzato nel 1998 da Adrija Ajdic, scultore di origine slovena. Si fa la fila per poter accarezzare il ginocchio dal quale trasudano gocce d’acqua, che i fedeli interpretano come miracolose, capaci di lenire dolori e guarire. (E anche qui Corvaglia nel suo libro fa trasparire le sue perplessità)
La giornata lo permette, è soleggiata, calda, piacevole e decido di recarmi sul monte delle apparizioni, conscia del fatto che altrimenti sarebbe stato un viaggio a metà. Uscendo dall’atrio della chiesa seguo i gruppetti che hanno avuto la mia stessa idea. Le indicazioni portano fuori dal centro abitato, si attraversano campagne, si arriva in un altro punto in salita pieno di negozi di gadget e poi all’improvviso la terra e i sassi del monte. Non avendo molto tempo a disposizione e non provando nessun afflato spirituale, sono salita velocemente, senza alcuna fatica. E invece il senso è nella lentezza, nell’affrontare la difficoltà come penitenza. Guardandomi intorno ero circondata da persone che salivano piano, dando significato ad ogni passo; c’era chi pregava, chi saliva scalzo, chi aiutava a salire anziani, bambini, disabili. In ogni gesto un forte senso di devozione.
E poi su, davanti la statua della Madonna, il silenzio e le lunghe soste di preghiera, alcuni in ginocchio. Nei volti la speranza che le loro parole potessero essere ascoltate e che potessero guadagnare l’intercessione. Ammetto di essermi sentita un po’ fuori luogo, per come mi sono approcciata fin dall’inizio. La fede è un fatto soggettivo e scevra da ogni sguardo giudicante, mi sono soffermata a pensare a tutti quei fedeli che arrivano qui. Da ogni nazione e di ogni estrazione sociale, con tanti problemi piccoli e grandi a cui chiedono risposta. Alla fiducia e alla speranza. E a chi, di contro, va avanti disincantato. E mi interrogo se davvero c’è qualcuno che ci ascolta. Con questi pensieri sono ritornata giù.
La mia esperienza a Medjugorie è finita lì, e chissà se ci sarà un ritorno e come sarà.
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